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Manuale di sopravvivenza per lavorare tra culture diverse

Sono seduto di fronte a un laureato, fresco di Master in Spettacolo, nella sala riunioni della Warner Bros.. Ho di fronte il suo curriculum. Tra le aspirazioni c’è “Lavorare in un ambiente dinamico e internazionale.”
La scena si svolge 10 anni fa, ma potrebbe essere oggi.

“Vedo che vuoi lavorare in un ambiente internazionale, quante lingue parli?”.

Dall’altra parte: “Beh, parlo l’Italiano poi a scuola ho studiato l’inglese”.

Io: “Bene, quindi possiamo continuare la conversazione in inglese?”

Lui: “Eh no, cioè io ho un livello scolastico”.

Scartato.

Alcuni anni prima.

Il candidato sono io. Ad intervistarmi è la capa europea della produzione. Dopo una serie di domande su esperienze precedenti e competenze, arriviamo al capitolo lingue. Senza battere ciglio, a metà frase passa dall’italiano all’inglese. È una mossa da stronzi, ma devo stare al gioco. Cambio lingua anche io e rispondo ancora con lo stupore nel volto. Il lavoro è mio.

Gli ambienti dinamici e internazionali non so bene cosa siano, ma ho lavorato per una ventina d’anni per e con aziende multinazionali. Vorrei raccontarti cosa ho imparato.

Oggi, l’unità minima di lavoro è una mail. Non è una buona notizia, ma è una realtà a cui siamo abituati tutti. Le società multinazionali le usano e ne abusano. La prima cosa a cui ti abitui è che ne hai sempre: alle 8 del mattino, perché negli States lavoravano mentre tu dormi. Durante il giorno dai tuoi colleghi a Londra, Parigi e Tel Aviv. Durante il pomeriggio e la serata perché progressivamente si sveglia New York e Los Angeles. Questo se non hai clienti e collaboratori in Asia che te le inviano la mattina molto presto o la sera molto tardi.

In ogni caso la ricetta è semplice: tante mail a tutte le ore. Tutte in inglese.
C’è l’inglese formale dei madrelingua, ma avrai a che fare anche con molte sfumature diverse di broken english. Guadagni punti se riesci ad interpretare il pensiero che sta dietro una scrittura a volte insicura.

Poi arrivano quelle mail che non capisci. Mandi un’email che richiede una risposta complessissima e ti ritorna un laconico “Thank you for your email.”, una formula di cortesia il cui senso mi è sfuggito per anni.

Gli americani sono il popolo più cortese del mondo. Non solo perché non puoi sapere mai chi ha un pistola addosso, ma perché il loro sistema sociale è lubrificato dalla gentilezza. Quindi spesso ti ringraziano della mail, si augurano che la loro email ti “trovi in buoni spiriti”, ti ringraziano della risposta, ti ringraziano di aver risposto alla risposta e via dicendo.

Se io ti scrivo e tu mi ringrazi devo ringraziarti a mia volta. E come facciamo a non far diventare la cosa ricorsiva? Quando ci si ferma? Non c’è una regola, bisogna andare d’istinto. Contano i rapporti (se sono formali o informali), le gerarchie (chi ci è superiore ci ringrazia spesso di più dei nostri sottoposti), il momento in cui si invia la mail (spero tu abbia passato un buon Thanksgiving) anche l’ora del giorno (buona giornata) o il giorno della settimana (spero tu abbia passato un ottimo weekend).

Tutto questo può sembrare un floriliegio di inutili messaggi, uno spreco di battute sulla tastiera e di bit sui server, ma gli “affari” funzionano anche così.

Lavorare tra culture significa dover tradurre. Film con un appeal globale come Moana, finiscono in molti paesi per trovare un monumento della cultura popolare nazionale come Moana Pozzi e si trovano a dover cambiare nome in Oceania. Altre volte invece puoi giocare – in maniera neanche troppo sottile – con le parole da una lingua all’altra.

Quando in Italia doveva uscire Troy, il film di Wolfgang Petersen con tutti gli attori del momento in gonnella, ho partecipato a due dibattiti. Il primo ha portato in pochissime battute alla scelta di non tradurre il titolo da Troy a Troia. La scelta, non penso di dovervela spiegare. Il secondo dibattito invece è quello che ha portato alla creazione di uno degli spot radio più memorabili della storia del cinema.

Ascoltalo qui su Soundcloud

Nella versione originale, per motivare le sue truppe, Eric Bana (Ettore) urla un innocuo “For Troy!!!”, inneggiando alla città che difende. La versione italiana non poteva che essere “Per Troia!!!”
Nel contesto, lo giuro, non è un insulto… E come spot radio ha la certezza di cogliere  l’attenzione persino dell’ascoltatore più distratto.

Lavorare tra culture significa ancora più spesso capirsi, comprendere i sottotesti, le sfumature. Capire le parole, ma anche coglierne il senso.

Se entro in una sala riunioni in Italia mi aspetto di spendere almeno 10 minuti parlando di attualità, sport, famiglia e vacanze. Se la stessa sala riunioni si trova negli Stati Uniti, mi aspetto che ci si sieda e si inizi subito a lavorare. Questo non vuol dire che gli italiani siano perditempo, né che gli americani siano sgarbati. Gli italiani hanno bisogno di stabilire un contesto (stiamo per parlare del bilancio 2017) e un rapporto (io ti riconosco come essere umano), prima di sedersi e lavorare sugli argomenti all’ordine del giorno. Gli americani lo riterrebbero una perdita di tempo, mentre per gli italiani è parte integrante del lavoro.

Nel tempo libero però questo paradigma si inverte. Se dopo la riunione si va al bar per prendere un drink, l’italiano parlerà soprattutto con le persone con cui ha un rapporto più stretto. Gli americani presenti invece faranno networking attaccando bottone un po’ con tutti. In questo caso la figura degli sgarbati toccherebbe agli italiani e quella dei farfalloni agli americani.

Non c’è un comportamento giusto. Ci sono solo modi diversi di lavorare insieme. Alcuni di questi comportamenti non influenzano direttamente l’esito del lavoro insieme, ma altri sono cruciali.

Per esempio, tra una cultura e un’altra ci possono essere differenze straordinarie su come vengono elargiti i feedback.

“È un ottimo lavoro, io esplorerei anche l’angolo dell’acquisizione dei clienti.”

Come interpreti questo feedback?

Se sei Italiano questo è un invito netto ad andare avanti. Certo, il nostro interlocutore dice che dobbiamo guardare anche il tema “acquisizione”, ma non è così importante. Esci soddisfatto.

Se sei britannico o americano, hai ricevuto l’indicazione che il lavoro va rifatto. Manca totalmente una parte fondamentale: quella dell’acquisizione dei clienti. Una volta integrata probabilmente cambierà tutto il lavoro. Esci preoccupato per il lavoro che ti aspetta.

Immagina ora di essere in conference call. Ci sono 15 persone collegate e non hai capito bene chi parla. Il messaggio che i arriva è:

“È un ottimo xxxxxx, io esplorerei xxxx l’angolo xxx’acquisizione dei xxxxx”

Se non bastassero i problemi di linea, il messaggio ti arriva in una lingua straniera.

Ecco che la frase “Voglio lavorare in un ambiente internazionale” che ho trovato su centinaia di curriculum assume un nuovo significato: “Voglio lavorare con persone che non capisco.”

Allora lavorare tra culture è proprio impossibile? Direi di no: lo fanno tutti i giorni migliaia di persone tra multinazionali e uffici diplomatici. Però bisogna prepararsi.

La prima cosa l’avete sentita già: imparate le lingue. Imparatele veramente bene e poi perfezionatele sempre di più. Per farlo, oggi avete una tonnellata di strumenti, anche molti divertenti.

Primo: se la lingua che devi migliorare è l’inglese sparati i tuoi film e serie preferiti in lingua originale con sottotitoli in inglese. Non c’è modo più facile di “barare” e migliorare una lingua divertendosi. Detesti i sottotitoli? Vedrai che dopo poco tempo non ne avrai più bisogno.

La seconda cosa che puoi fare senza sollevare il sedere dal divano, è utilizzare una app come Duolingo per tenerti allenato e imparare nuove sfumature delle tue lingue preferite. L’app è fantastica, così come il sito. In più da un po’ di tempo ci sono dei robot con cui potete chattare in lingua. Forza con quei pollicioni!

Anche la terza opzione ha a che vedere col divano: si tratta di Couchsurfing. Per chi ancora non la conoscesse, è una piattaforma che consente di mettere spazi privati a disposizione di altri. A differenza di piattaforme simili, come airbnb, lo scopo non è guadagnare, ma aprirsi allo scambio con altre culture.
Vivi in un monolocale con 2 cani, 3 gatti, 4 canarini, 5 pesci rossi e 6 boa constrictor? Non hai spazio per ospitare nessuno? Niente paura!
Gli iscritti a couchsurfing si vedono in tutte le città del mondo per eventi sociali basati sullo scambio culturale. Sotto testo: oltre a imparare una lingua, potreste tornare a casa in piacevole compagnia…

Quarto strumento: il tandem linguistico. L’idea è che se vuoi imparare l’inglese ci sarà qualcuno che sa l’inglese e vuole imparare l’italiano. Vi incontrate e fate conversazione, un po’ in una lingua un po’ in un altra. Magari davanti ad un buon the verde o un bicchiere di ottimo vino. Imparate, socializzate e vi divertite.

Il quinto strumento è un libro – che manco a farlo apposta non è tradotto in italiano. Si tratta di The Culture Map, è scritto da una professionista e consulente di nome Erin Meyer e offre una vera e propria mappatura delle principali caratteristiche di diverse culture.

Non ha l’ambizione di rendervi dei perfetti negoziatori internazionali capaci di fare deal a Tokyo, Dehli e Santiago del Cile, ma è un libro veloce, ricchissimo di aneddoti divertenti e utili sia per i più esperti, che per chi ancora deve trovare il suo “ambiente internazionale”.

Per trovarlo poi, non bisogna andare troppo lontano. Ci sono 4 città veramente internazionali a “portata” di italiano, dove andare a fare un corso, uno stage o cercare lavoro.

Londra – nonostante Brexit – è ancora la città che offre più opportunità internazionali. È una delle sedi preferite dalle multinazionali che si espandono in Europa ed è una città dalle mille anime. Peccato che sia costosa e che Brexit al momento la renda meno attraente.

Amsterdam offre ancora più vantaggi – dal punto di vista fiscale – alle aziende che vi si vogliono insediare ed ha attratto tantissimi headquarter. La città è più piccola e provinciale di Londra, ma anche tanto più vivibile.

Dublino è stata scelta da Facebook e Google non solo per la vicinanza culturale con gli States, ma – come nel caso di Amsterdam – per un regime fiscale molto vantaggioso. La città ha visto un aumento dei prezzi proprio dovuto all’arrivo di queste grandi aziende, ma gli irlandesi hanno una marcia in più ed è proprio la cultura locale a rendere questo posto interessante.

Berlino – la città che ho scelto io – forse è quella che offre al momento più chance nell’ambito della pura tecnologia (quindi se vuoi programmare in un ambiente internazionale, vieni qui). La città è in pieno scontro con le proprie contraddizioni: la criminalità aumenta allo stesso ritmo degli affitti. I furti d’appartamento, una volta rari, sono diventati all’ordine del giorno. La nomea di “party town” attrae sempre più turisti, ma ha uno spiacevole effetto “Spring Break a Cancun” per chi ci vive. Ciò nonostante è un bel polo, giovane e vivo.

Il lavoro che ti aspetta in questi paesi non è quello di negoziatore internazionale o manager divisionale, ma spesso di specialista del tuo paese. La conoscenza dell’Italia, del suo tessuto di aziende, cultura e lingua, all’estero paga. Spesso anche bene.
Molte aziende voglio scalare, ovvero crescere di dimensione. Lo fanno attraverso l’apertura di nuovi mercati e tu potresti essere utile proprio nell’ottica di questa espansione.

L’altra possibilità è di mettere radici nelle città più internazionali d’Italia: mi riferisco a Milano per gli affari, Roma per le relazioni internazionali, ma anche la sonnacchiosa Torino. Qui già si trova quell’ambiente internazionale, ma devi essere bravo a inventarti un lavoro.

E mi raccomando: preparati per quel colloquio in lingua straniera.

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  1. Mi fa piacere notare che sono gli stessi comportamenti che ho messo in atto ormai da diversi anni (serie tv e film in inglese con sottotitoli in inglese) e che consiglio in ogni occasione che ho di parlare in pubblico.